Dopo la carrellata dedicata ai migliori esordi e ai migliori concerti dell’anno, eccoci con il nostro consueto appuntamento di fine dicembre, per parlare dei migliori album che il mondo del rock e del metal (e non solo) ci hanno offerto nel 2022. Un viaggio attraverso 25 lavori di ogni genere, pubblicati da artisti in diverse fasi della carriera, ma che, in tutti i casi, hanno reso migliori questi 12 mesi.

Tony Martin – Thorns
(14 gennaio, Battlegod Productions)

Schiacciato da un lato da Ozzy Osbourne e dall’altro da Ronnie James Dio, per Tony Martin non è stato semplice ritagliarsi un ruolo di protagonista assoluto nella storia dei Black Sabbath, nonostante album di grande livello e una voce a dir poco straordinaria. Uscito a inizio 2022 per la piccola Battlegod Productions, “Thorns” rappresenta, forse, il miglior album solista del singer britannico, un concentrato di cupo, epico e granitico heavy metal che, benché non dimentichi la lezione di capolavori come “Headless Cross” e “Cross Purposes”, riesce ad andare oltre i propri cliché, arricchendosi di reminiscenze blues, country e southern/folk. Un disco che sprigiona classicità – di quella buona – da ogni poro, con il cantante ultrasessantenne delle West Midlands in forma eccezionale.

Canzone consigliata: As The World Burns

Pinegrove – 11:11
(28 gennaio, Rough Trade)

Quinto album in studio degli statunitensi Pinegrove, “11:11” è forse l’album che ha saputo far convivere al meglio le diverse contaminazioni della band. Un viaggio onirico tutt’altro che barocco tra emo-rock, indie e soft-rock, che non ha paura di alternare il tepore delle ballad “Iodine” e “Swimming” alle sferzate quasi punk-rock di “Habitat” e “Alaska”. Incentrato sulle tematiche ambientali e sull’inerzia di governi e istituzioni a dare risposte concrete al riguardo, oltre a trattare altre difficoltà della vita quotidiana, il vero punto di forza di “11:11” è però l’abilità di toccare sempre i tasti giusti, saper arrivare al cuore delle questioni e, come già anticipato, riuscire a combinare generi e suoni eterogenei con grande classe. Un disco intelligente, capace di rincuorare e avvolgere chi lo ascolta.

Canzone consigliata: Swimming

Black Country, New Road – Ants From Up There
(4 febbraio, Ninja Tune)

Quanto lontano si sono spinti i Black Country, New Road, e quanto tempo bisogna dedicar loro per tirare le somme – o semplicemente per riprendersi dallo scossone emotivo – su un capolavoro come “Ants From Up There”. È di questo che parliamo, di un capolavoro contemporaneo, perché gli inglesi si elevano tra i meteoriti, guardando il formicaio umano che cresce, si moltiplica, si evolve, così come la loro musica: via il nervosismo post-punk, scansate le ritmiche danzerecce ed il basso singhiozzato a dettare le tempistiche, qui si tocca realmente “l’assoluto pinnacolo dell’ingegneria inglese”, tanto per citare la meravigliosa “Sunglasses”, un’ingegneria musicale ovviamente, coltivata e alimentata con pazienza da schematiche ora più fluide, mature e jazzistiche, frutto di ragazzi che nel giro di un solo anno dall’uscita di “For The First Time” sembrano invece uscire da un lento e oculato processo di affinamento in una capsula spazio-temporale. Un’opera sopraffina, di un’intimità ed una dolcezza commovente, un lavoro sfortunato, devastato dall’abbandono – a pochi giorni dalla sua pubblicazione – del timoniere e frontman Isaac Wood per motivi personali. Ma un album che, nonostante tutto, resterà nella storia del rock alternativo.

Canzone consigliata: Concorde

Rolo Tomassi – Where Myth Becomes Memory
(4 febbraio, MNRK Heavy)

A tre anni di distanza dalla pubblicazione del proprio capolavoro “Time Will Die And Love Will Bury It”, il quintetto di Sheffield prosegue sulla stessa linea con “Where Myth Becomes Memory”, lavoro in cui le origini screamo, mathcore e post-hardcore della band, vengono nuovamente annacquate in passaggi melodici, dalle spiccate tendenze post-rock e shoegaze. Una scelta vincente che permette ai Rolo Tomassi di mettere in fila una serie di brani dall’impatto devastante, che presentano allo stesso tempo la giusta dose di varietà, riuscendo comunque a rimanere coerenti anche attraverso le continue variazioni. La stessa performance di Eva Spence, capace contemporaneamente di esprimersi con un timbro angelico e con sferzate vocali da far accapponare la pelle, ricalca il perfetto supporto musicale del resto della band, che presenta un altro album praticamente esente da difetti.

Canzone consigliata: Drip

Placebo – Never Let Me Go
(22 marzo, So, Rise, Elevator Lady)

A nove anni dalla pubblicazione del loro precedente album “Loud Like Love”, i Placebo sono tornati con il loro ottavo album in studio “Never Let Me Go”. La band, oramai diventata ufficialmente un duo composto da Brian Molko e Stefan Olsdal, ha superato l’esame a pieni voti. C’era difatti il rischio di un appiattimento nel sound e di ripetere qualcosa di già sentito in precedenza, invece in “Never Let Me Go” si percepisce una forte maturità ed urgenza creativa. Le tematiche affrontate all’interno dei testi spaziano dall’impegno sociale a qualcosa di maggiormente introspettivo e personale. Fortemente ispirato, “Never Let Me Go” da una parte recupera il piglio beffardo degli esordi e dall’altra si offre di sperimentare una nuova maturità restando sempre fedeli all’essenza di un gruppo dall’impronta sempre perfettamente riconoscibile. Un album emotivo, potente, a tratti schizofrenico, capace di penetrare fin dentro le viscere e con cui i Placebo si confermano una band essenziale del rock alternativo.

Canzone consigliata: The Prodigal

Fontaines D.C. – Skinty Fia
(22 aprile, Partisan Records)

Mentre Grian Chatten e soci si abituano ad essere una delle rock band più importanti della contemporaneità, la ricerca li porta a trovare nuovi modi per declinare l’attitudine sbarazzina, il radicamento a una terra amata e odiata come la madre Irlanda e una certa rabbia di stampo new punk. In dieci canzoni, “Skinty Fia” affronta una serie di argomenti sempre più cupi: degrado, avidità, corruzione, sconforto, isolamento, sofferenze d’amore. Attraverso metafore, immagini e simbolismi urbani emergono racconti di stampo letterario, che mostrano la crescente capacità della band di premere il tasto reset all’alternative rock. L’ultima fatica in studio dei Fontaines D.C. è grande perché funziona sia a tracce separate (i capolavori “I Love You”, “Roman Holidays” e “Jackie Down The Line” giocano un campionato a sé), sia se ascoltato nella sua interezza come attestazione solenne di quell’inquietudine di spirito made in Eire che ha reso e renderà ancora più grandi i Cinque di Dublino.

Traccia consigliata: Jackie Down The Line

Rammstein – Zeit
(29 Aprile, Universal)

Dopo un album di alti e bassi (e pubblicato dopo 10 anni di attesa), i Rammstein tolgono definitivamente la ruggine, oliano i meccanismi e, con questo nuovo lavoro, tornano a mostrare ciò che meglio sanno fare. Con “Zeit”, l’inquietante veliero dei teutonici torna a macinare miglia su miglia, prendendo a cannonate le nostre orecchie, navigando talvolta nell’oscurità, mostrandoci paesaggi poetici, quanto oscuri e nebbiosi. Quando lo tsunami emotivo e sonoro dei Rammstein decide di colpire, non si può far altro che lasciarsi investire dalla violenta ondata e abbandonarsi completamente al movimento delle acque. Come da miglior tradizione, il sestetto, ruggisce, carezza, sbraita, ammalia, percuote con violenza e non lascia scampo.

Canzone consigliata: Angst

Visions of Atlantis – Pirates
(13 maggio, Napalm Records)

A 20 anni dall’esordio, dopo numerosi cambi di line up e una carriera sempre troppo all’ombra dei grandi nomi del symphonic metal, i Visions of Atlantis sfornano probabilmente il loro album migliore. Un concept di ambientazione piratesca, dove tutti i brani esplorano dolcezza e melodia, potenza ed aggressività, con linee strumentali mai banali, ma allo stesso tempo dall’approccio immediato. Le voci di Michele Guaitoli e Clémentine Delauney sono perfettamente amalgamate e danno ulteriore lustro ad un lavoro di grande qualità, che porta finalmente la band all’altezza dei più grandi nomi del genere, riponendo in loro tantissime aspettative per il futuro, che sarà sicuramente molto più brillante.

Canzone consigliata: Melancholy Angel

Liam Gallagher – C’mon You Know
(27 maggio, Warner Records)

Terzo album da solista, “C’mon You Know”, è la conferma che Liam Gallagher può farcela anche da solo. L’ex frontman degli Oasis dimostra difatti di aver raggiunto una certa maturità compositiva, raccontando il suo riscatto personale. Sicuramente più concettuale rispetto ai precedenti, “C’mon You Know” si potrebbe quasi definire come la svolta intellettuale e spirituale di Gallagher. Liam scava dentro di sé, abbandonando la sua rabbia ma senza mai perdere quell’attitudine rock e la personalità forte che lo contraddistinguono. Non ha paura di sperimentare, fondendo più generi musicali che spaziano dal blues al rock, passando per l’elettronica, ma senza perdere mai quell’impronta che da sempre lo caratterizza ed i riferimenti beatlesiani. Tra i tre album da solista è quello che forse suona meno “Oasis” ma sicuramente si riconosce la firma di Liam Gallagher.

Canzone consigliata: Everything’s Electric

Nova Twins – Supernova
(17 giugno, Marshall Records)

Immancabile nelle top della critica di quest’anno, con un’approvazione unanime più che meritata: il secondo album del duo londinese – fresco di candidatura ai prestigiosi Mercury Prize – parte dagli stilemi adottati nel disco precedente per portarli a una carica ancora più esplosiva. Più magniloquenza, nel sound delle Nova Twins, ma anche più sperimentalismo: il rap rock degli esordi assorbe contaminazioni R&B, industrial metal ed elettroniche per un risultato devastante e sempre più difficile da categorizzare. Una supernova, in ogni senso possibile.

Canzone consigliata: Antagonist

Porcupine Tree – Closure/Continuation
(24 giugno, Music For Nation/Megaforce)

A distanza di dodici anni dall’ultima volta, i Porcupine Tree ritornano con un album che suona come un titolo in grassetto, un’affermazione della loro identità che poi è proprio quello su cui si fonda il legame con la fedelissima fanbase. Una separazione lunga quella della band inglese, anni in cui Steven Wilson ha lavorato a ben cinque progetti da solista, più lontano dai Porcupine Tree che mai. Si chiama “Closure/Continuation” perché a nessuno di loro è chiaro se questo album significherà la fine del gruppo o l’inizio di una nuova era, ciò che è sicuro è che i brani, oltre a mostrare ancora una volta l’insofferenza degli autori per le dinamiche discografiche moderne “mangia-singoli”, è un vessillo: creati nella tranquillità dell’ultimo decennio ed ultimati durante il lockdown, riflettono anche i tempi difficili, spesso tragici, che stiamo vivendo, ma lo fanno con ritmi intrecciati, synth impressionistici ed elettronica alla Brian Eno.

Canzone consigliata: Harridan

Black Midi – Hellfire
(15 luglio, Rough Trade Records)

Giunti al terzo album della loro carriera, i Black Midi entrano chiassosamente nel 2022 con un prodotto che raccoglie le esperienze passate della band londinese e le trasforma in un lavoro maturo e completo. “Hellfire” è un’esplosione di energia, frustrazione e rabbia che emergono non soltanto dai suoni e dalla costruzione eccellente dei brani, ma anche dai testi, rendendo il tutto uno degli album più creativi degli ultimi anni. In uno slalom continuo tra math rock, free jazz e prog, i Black Midi sono riusciti a creare un terzo full lenght non immediato, ma certamente di più facile digestione rispetto ai due album precedenti, caratterizzati da una certa acerbità che rendevano più difficile l’ascolto. Insomma, un lavoro certamente meno caotico ma che spiana la strada per altre produzioni della band su cui è possibile riporre una fiducia cieca.

Canzone consigliata: Sugar/Tzu

Panzerfaust – The Suns Of Perdition – Chapter III: The Astral Drain
(22 luglio, Eisenwald)

“The Suns Of Perdition – Chapter III: The Astral Drain” è il disco della maturità compositiva dai Panzerfaust, quartetto di Mississauga per anni relegato nelle fertili cloache dell’underground canadese. Di minutaggio maggiore rispetto ai due capitoli precedenti, il sesto full-length dei nordamericani continua ad abbeverarsi al black metal esperito da Kriegsmaschine e Mgła, convogliandone le suggestioni ipnotiche attraverso pezzi avvolgenti e oppressivi, che amano trastullarsi con l’industrial, il progressive e lo sludge più atmosferico. Clima torvo, melodie lugubri e ritmi downtempo, per un LP che si costruisce una sua soprannaturale sacralità senza frantumare crani né dilaniare corpi, ma viaggiando tra gli abissi apocalittici di un mondo in rovina. Il (post) Metal Noir Québécois non delude, ancora una volta.

Canzone consigliata: Tabula Rasa

Castlebeat – Half Life
(27 luglio, Spirit Goth)

Gli appassionati di dream pop/lofi non possono non aggiungere alla loro lista d’ascolti il quarto album di Josh Hwang, meglio noto con il nome di Castlebeat. Autoprodotto con la sua etichetta Spirit Goth, che si occupa prettamente di artisti del genere, “Half Life” è un perfetto mix di sonorità shoegaze, dream pop, chill wave, lofi, jungle pop e post punk. Dalle tinte romantiche, oniriche ed a tratti nostalgiche, è l’esempio perfetto di bedroom album e va a completare un percorso di continuità già iniziato con i lavori precedenti quasi come a chiudere un cerchio. Si tratta di dodici canzoni d’atmosfera dove i synth fanno da padroni, sembrando riportare l’ascoltatore quasi indietro agli anni ’80. Probabilmente non è un disco per tutti ma se si riesce ad entrare nel suo mood si rimarrà sicuramente affascinati dal mondo raccontato dall’artista.

Canzone consigliata: Home

The Amazons – How Will I Know If Heaven Will Find Me?
(9 settembre, Fiction Records)

Gli Amazons rappresentano una ventata di aria fresca e il loro terzo album lo dimostra. Distaccandosi dai temi e suoni più cupi dei precedenti lavori – “there’s a light at the end of the dark” – ritrovano la luce con dei brani che hanno ciò che è necessario per mettere d’accordo tutti. Scritto durante il lockdown, come molte uscite del 2022, prevalgono le difficoltà della distanza e le gioie del ritrovarsi, con richiami musicali identificativi importanti che ci riportano agli U2 di “The Joshua Tree” e “Rattle and Hum”, fino ai The Killers e ai primi Coldplay (piaccia o no, Chris Martin insegna e le giovani band ascoltano).

Canzone consigliata: Ready For Something

Ozzy Osbourne – Patient Number 9
(9 settembre, Epic Records)

Ogni volta che lo diamo per spacciato, il Principe delle Tenebre, conosciuto da tutti come Ozzy Osbourne, torna più forte di prima. Non è bastata una diagnosi di Parkinson, un’operazione al collo e il Covid per metterlo ko. Questo braccio di ferro con la morte durato forse tutta la vita getta le basi per il nuovo Patient Number 9, una sfida che Ozzy racconta con sguardo beffardo ma mai irriconoscente. E dunque che senso avrebbe la vita senza gli amici? Ce lo spiega Ozzy attraverso collaborazioni memorabili con compagni di vecchia data del calibro di Jeff Beck, Il commilitone Tony Iommi, un certo Eric Clapton e l’immancabile Zakk Wylde. E se non bastasse, dietro le quinte Andrew Watt la fa da padrone con produzioni attente, bilanciate e molto alla moda. Un disco che porta al buon Ozzy ben 4 nomination ai prossimi Grammy Awards all’età di appena 74 anni.

Canzone consigliata: Patient Number 9

Suede – Autofiction
(16 settembre, BMG)

Il nono album in studio dei londinesi certifica un ritorno alle origini, ad un’istintività che guadagna vigore rispetto alle più complesse architetture di “The Blue Hour”, ma che è figlia di una consapevolezza e di una maturità che tengono imbrigliato l’ardore adolescenziale, per sostituirlo con una rabbia malinconica e ricolma di saggezza: “Autofiction” è un disco che collega, che ricongiunge al passato, celebrandone la grandezza e metabolizzandone, a mente fredda, gli eccessi ed i rimpianti. La band di Brett Anderson riprende gli stilemi classici dello Suede sound, immergendoli in un’opaca vernice post-punk e new wave, tirando fuori un prodotto finito dalla colorazione pressochè perfetta, capace di ambientarsi nello scenario musicale odierno e, allo stesso tempo, di stringere le mani al passato senza, però, masticarlo all’infinito: una celebrazione non pacchiana, ma rispettosa, figlia di musicisti che si ritrovano ancora insieme, dopo più di trent’anni, a partorire meraviglie senza dovere niente a nessuno.

Canzone consigliata: 15 Again

Slipknot – The End, So Far
(30 settembre, Roadrunner Records)

Dopo 25 anni di carriera, gli Slipknot decidono di mettere un punto. Con “The End, So Far” sembra ci sia la voglia di tirare le somme e al contempo spingersi un po’ più oltre quello che siamo già abituati a conoscere, trovando un equilibrio (quasi) perfetto tra l’introspezione dei lavori più recenti e la ferocia che li ha eretti a mostri sacri del metal contemporaneo. Un disco denso di significati e atmosfere, terribilmente divertente, suonato con mestiere e, indubbiamente, di qualità. A parte il sangue, lo splatter, la teatralità e il rumore, c’è sempre stato chiaramente molto di più nella capacità della band di scioccare – e ora sembra che la loro prossima svolta a sinistra potrebbe essere la più audace, perché la fine lascia sempre spazio a qualcosa di nuovo. Come avverte Taylor nella magistrale “Warranty”: “Non è per questo che siete venuti qui?”

Canzone consigliata: Warranty

A.A. Williams – As The Moon Rests
(7 ottobre, Bella Union)

Dopo il convincente esordio “Forever Blue”, A.A. Williams preme ancora di più sul tasto delle distorsioni, riuscendo a conservare intatta la delicatezza delle atmosfere. A metà strada i lavori più rumorosi di Chelsea Wolfe e quelli più emozionali di Emma Ruth Rundle, “As The Moon Rests” è un album in cui gli opposti si scontrano e si attraggono, andando a formare un canovaccio dall’intensità non indifferente. La voce della cantante guida i brani nelle parti più soft, mentre si trasforma nell’unica componente melodica nei climax che flirtano con il noise, riuscendo a far rimanere intatte intensità e delicatezza. Un lavoro in cui è semplice riconoscere influenze post-metal, gothic e shoegaze, ma che, allo stesso tempo, rimane squisitamente ineffabile nel suo onirismo e nella sua indefinibilità.

Canzone consigliata: Pristine

Alter Bridge – Pawns & Kings
(14 ottobre, Napalm Records)

Conoscendo gli Alter Bridge da così tanto tempo, era assurdo anche solo pensare a cambi di rotta o grosse novità nel sound e infatti quello che ci viene proposto in “Pawns & Kings” è l’ennesimo lavoro di alto livello, costellato da tutti i marchi di fabbrica del quartetto di Orlando. Quello che forse si può notare di diverso rispetto al percorso intrapreso con i due ultimi arrivati “The Last Hero” e “Walk The Sky”, è un ritorno ad un sound più compatto e grezzo: ci troviamo davanti a 10 brani senza fronzoli e dalla forte componente aggressiva, un turbinio fatto di riff tritacarne, ritmi incalzanti e distorsioni massicce, dentro il quale è davvero difficile tirare il fiato. Non aspettatevi capolavori assoluti o brani che rimarranno nella storia della musica – d’altronde non è mai stata questa l’aspirazione del quartetto –, immergetevi in “Pawns & Kings” e godete degli ennesimi grandi pezzi scritti e suonati da musicisti di prim’ordine. Non è bello avere delle certezze ogni tanto?

Canzone consigliata: Fable Of The Silent Son

Avantasia – A Paranormal Evening with the Moonflower Society
(21 ottobre, Nuclear Blast)

Essere costanti, si sa, non è mai facile soprattutto quando lo standard abituale è altissimo. Tobias Sammet però ancora una volta dimostra il suo genio indiscusso. Dopo 30 anni di carriera il quarantaquattrenne di Fulda sforna un altro album solido che risulta essere tra i più diretti del progetto Avantasia. Con “A Paranormal Evening with the Moonflower Society” Sammet ci porta a teatro per farci vivere una serata all’insegna della magia. Il tutto arricchito, come da formula Avantasia, da ospiti di lusso: dai fedelissimi come Michael Kiske (Helloween) e Bob Catley (Magnum), alle new entry come Floor Jansen (Nightwish) e Ralf Scheepers (Primal Fear). Musicalmente è difficile collocare l’album in un genere specifico, Sammet ormai da tempo ha abbondonato il sound puramente power metal facendo vivere agli ascoltatori esperienze poliedriche. Si passa quindi dall’opener da musical al pezzo cattivo con Scheepers, per poi passare dalla romantica “Misplaced Among The Angels” alla travolgente “I Tame the Storm”. Non mancano incursioni nel pop rock come nel caso di “Paper Plane” e neanche la lunga suite (solo una questa volta) finale, che fa da sunto del sound Avantasia. Con “A Paranormal Evening with the Moonflower Society” Tobias Sammet non ha sicuro stravolto la sua classica formula, ma l’ha semplificata componendo canzoni di breve durata con un solo ospite per volta, ad eccezione di “Arabesque” che oltre a sforare i 10 minuti vede in contemporanea la partecipazione di Jorn e Kiske. Questo nono capitolo ha ripagato l’attesa dei fan che si son ritrovati tra le mani un album che ha forse da invidiare ai suoi predecessori quei brani più strutturati ma dal canto suo può vantare un ventaglio di chorus che difficilmente si può scollare dalla testa.

Canzone consigliata: The Moonflower Society

Dry Cleaning – Stumpwork
(21 ottobre, 4AD)

Al cospetto dell’esuberante e sbandata danza di “Stumpwork”, sophomore di un debut – “New Long Leg” – a dir poco eccezionale, ci sentiamo accarezzare da una ventata di freschezza musicale che persegue la chirurgica operazione di demarcazione dei Dry Cleaning all’interno del complesso universo post-punk. Nonostante il poco tempo che intercorre tra i due full-length – un anno e qualche mese – l’ultimogenito dei londinesi assume la forma di un’opera che, pur conservando gelosamente quell’appeal stralunato, acidulo e a tratti malinconico che ha forgiato la natura del sound del quartetto, divaga in un’audace escursione sperimentale per lande ancor più evanescenti, fosche, ipnotiche, con il post-punk di casa che cede un po’ di corda al noise, all’ambient e al più intrigante slowcore, paesaggi sonori compatibili alla perfezione con l’ipnotizzante spoken word di Florence Shaw. Un seguito egregio, che rifinisce ancor di più la già ben marcata identità della band di Londra.

Canzone consigliata: Hot Penny Day

Polyphia – Remember That You Will Die
(28 ottobre, Rise Records)

Un’impennata in termini di notorietà, una serie di chitarre firmate con Ibanez, un tour mondiale con sempre più date sold-out: l’ascesa dei Polyphia sembra non essere intenzionata a fermarsi. Se già con il disco precedente la band texana si era distinta per aver plasmato un mondo caleidoscopico e sperimentale al di là dei generi, “Remember That You Will Die” eleva il tutto a un piano ancora più ambizioso: dal metal alla musica latina, dall’elettronica all’R&B, passando fra gli innumerevoli featuring di altissimo livello (Steve Vai, Chino Moreno), quello che aspetta gli ascoltatori è un viaggio attraverso territori musicali che non conoscono confini.

Canzone consigliata: Bloodbath

Hoaxed – Two Shadows
(28 ottobre, Relapse Records)

Il duo dell’Oregon formato da Kat Keo (voce e chitarra) e Kim Koffel (batteria) presentano un progetto metal che richiama sonorità gotiche, sapientemente mescolate ad una strumentazione minimale ma compatta, pulita e completa, che si contrappone alla voce leggera ed elegante di Kat. Con l’uscita dei primi tre singoli hanno già fatto parlare di sé anche grazie ai videoclip che li accompagnano, in cui possiamo apprezzare anche i richiami estetici alle loro influenze musicali. Il duo femminile, nonostante il gusto un po’ retrò, è figlio del suo tempo.

Canzone consigliata: The Knowing

Devin Townsend – Lightwork
(4 novembre, Inside Out Music)

Il 2022 è stato un momento di ripresa per molti ma, com’era inevitabile, si è portato dietro diverse scorie dei due anni precedenti. Devin Townsend ha provato a trasporre in musica tutte le sensazioni provate nel periodo della pandemia ed il risultato è stato “Lightwork”, un disco che non è solo un insieme di tracce, ma una carezza per l’anima. Probabilmente vi saranno necessari più ascolti per cogliere appieno tutte le sfumature dell’ultimo lavoro dell’artista canadese, ma vi assicuriamo che ognuno di essi sarà premiato da un’iniezione di pace, calma e tranquillità; questo, ovviamente, insieme a tutte quelle melodie, quei cori, quei riff distorti che sono da sempre un marchio di fabbrica di Townsend. Se siete alla ricerca di un album dalle mille sfaccettature e capace di rapirvi ogni volta che deciderete di ascoltarlo, tuffatevi senza indugio; ma se invece sentite gravare sulle spalle il peso di una negatività, di una delusione o semplicemente di una brutta giornata, “Lightwork” è il miglior compagno che possiate desiderare.

Canzone consigliata: Call of the Void

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